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Approfondimenti

Biodiversità in Maremma toscana

Tra paludi, bonifiche e riserve naturali

A cura di Chiara Salari

La Maremma è terra selvaggia nell’immaginario collettivo, nonostante il suo territorio sia il risultato di trasformazioni e bonifiche fatte a più riprese, anche in nome della lotta contro la malaria, con importanti opere avviate dalla seconda metà del ‘700 e concluse nel corso del ‘900. Nel suo “Viaggio in Italia” radiofonico del 1955, Guido Piovene notava che “La Maremma selvaggia era tuttavia inserita in una civiltà umanistica, in una mitologia mediterranea”, e che la riforma agraria aveva eliminato gli ultimi residui delle paludi, ancora presenti all’inizio dell’ultima guerra mondiale.

Attraverso l’analisi di materiali audiovisivi e fotografici provenienti da fonti diverse, si intende indagare come le rappresentazioni e i discorsi mediatici su quest’area costiera d’Italia siano cambiati nel corso del tempo, dalla fine degli anni ‘40, quando si bonifica il suolo insediato dalla palude e dal mare per le “esigenze del focolare”, fino agli ultimi due decenni, quando le zone paludose vengono rivalutate per la loro ricca biodiversità e si lotta per salvaguardare gli ecosistemi marini. Se negli anni ‘70 il termine biodiversità non veniva ancora utilizzato, si cominciava a parlare di mancanza di habitat naturale e della necessità di un nuovo rapporto con l’ambiente che le aree protette avrebbero potuto facilitare. I punti dell’atlante qui raccolti rappresentano una selezione dei materiali consultati: filmati dell’Istituto Luce, documentari Rai, produzioni indipendenti e GreenAtlas, immagini dell’archivio della Società Geografica Italiana e del concorso fotografico Obiettivo Terra, che rivelano inoltre le strategie estetiche e gli elementi ricorrenti nella rappresentazione dei paesaggi, della vegetazione e della fauna delle riserve naturali.

Questo approfondimento propone dunque un percorso di visione sulla biodiversità in Maremma toscana, partendo dalla riserva naturale Diaccia Botrona (Castiglione della Pescaia), attraversando il parco naturale regionale della Maremma (che comprende Marina di Alberese e la foce dell’Ombrone), il borgo di Talamone al suo limite sud, la laguna di Orbetello e il monte Argentario, il lago di Burano (prima oasi WWF nel 1967), fino alle zone più interne vicino a Saturnia e a quelle più esterne dell’arcipelago toscano (l’isola del Giglio e l’isola di Capraia). Si tratta un’area che potrebbe nel futuro essere in parte sommersa. In Viaggio nell’italia dell’antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro del 2021, Telmo Pievani e Mauro Varotto proiettano infatti l’Italia in un ipotetico, fantascientifico e distopico anno 2786, quando la fusione completa delle calotte glaciali continentali ha causato un innalzamento di 65 metri del livello del mare. Il “mare di Grosseto” si è ripreso le terre bonificate, e “Il golfo frastagliato di Saturnia era un’altra delle rare riserve naturali italiche – una meraviglia di anfratti marini, spiagge tropicali, sorgenti termali e rovine etrusche congelate nei secoli – protetta al largo dall’isola Alberese, dall’isola di Santo Stefano (di fronte all’isola del Giglio, mentre Giannutri era ormai solo uno scoglio) e dalle isole del Leccio sul lato meridionale” (p. 111).


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